
Primi appunti sparsi sulle Nuove Indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione
È difficile anche solo decidere da dove iniziare per analizzare criticamente le Nuove indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione da poco pubblicate sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito come materiali per un presunto dibattito pubblico con il coordinamento di Loredana Perla e di Francesco Emmanuele Magni, e che rischiano di riportare indietro di oltre sessant’anni la scuola italiana. Forse la cosa migliore, in attesa di un’analisi più approfondita e strutturale, è partire dal confronto conalcuni stralci, relativi alla pluralità di culture e all’educazione alle differenze in un’ottica interculturale presi dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione 2012.
Trova le differenze.
“Una molteplicità di culture e di lingue sono entrate nella scuola. L’intercultura è già oggi il modello che permette a tutti i bambini e ragazzi il riconoscimento reciproco e dell’identità di ciascuno. A centocinquanta anni dall’Unità, l’Italiano è diventata la lingua comune di chi nasce e cresce in Italia al di là della cittadinanza italiana o straniera. La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze.”
“La piena attuazione del riconoscimento e della garanzia della libertà e dell’uguaglianza (articoli 2 e 3 della Costituzione), nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno, richiede oggi, in modo ancor più attento e mirato, l’impegno dei docenti e di tutti gli operatori della scuola, con particolare attenzione alle disabilità e ad ogni fragilità, ma richiede altresì la collaborazione delle formazioni sociali, in una nuova dimensione di integrazione fra scuola e territorio”
“L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti, nella loro pura e semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere. La promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme. Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale”
La parola occidente compariva un’unica volta nelle Indicazioni del 2012 con riferimento all’impero romano, nell’ambito delle competenze storiche da acquisire al termine della scuola primaria, mentre compare ben 12 volte, rigorosamente maiuscola, nelle Nuove indicazioni appena pubblicate, a partire dallo spaventoso incipit sul concetto di libertà (uguaglianza non più pervenuta!):
“La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Ed è il cuore pulsante della nostra democrazia. Capire che cosa è la libertà e soprattutto cosa significhi essere liberi (anche attraverso il confronto con coloro che liberi non sono, in moltissime parti del mondo), agevola la comprensione di cosa sia una democrazia occidentale e le connessioni esistenti fra quest’ultima e il sistema dei diritti e dei doveri di cittadinanza conquistati dall’Europa, anche al prezzo di guerre terribili, nella prima metà del Novecento.”
I violenti deliri euro e occidentalocentrici che hanno preso totalmente il posto di una, per quanto ulteriormente problematizzabile, prospettiva interculturale sono ancora più evidenti nella sezione dedicata alla Storia, non a caso curata da Ernesto Galli della Loggia, autore con la professoressa Perla del pamphlet “Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo” che trova evidentemente nelle Nuove indicazioni una diretta emanazione.
“Solo l’Occidente conosce la Storia. Ha scritto Marc Bloch: «I greci e i latini, nostri primi maestri, erano popoli scrittori di storia. Il cristianesimo è una religione di storici. […] è nella durata, dunque nella storia, che si svolge il gran dramma del Peccato e della Redenzione». Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di fatti eminenti succedutisi nel tempo; allo stesso modo, per un certo periodo della loro vicenda secolare anche altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica. Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su se stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo; quindi non segnando in alcun modo la propria cultura così come invece la dimensione della Storia ha segnato la nostra.”
Emerge la rivendicazione dell’inutilità della lettura e analisi delle fonti, della pluralità di interpretazioni storiografiche e delle riflessioni sui grandi temi, a favore di una non meglio precisata “dimensione narrativa” della storia che è, naturalmente, univoca e in primo luogo italica.
“Anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E cioè un insegnamento/apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo. La dimensione narrativa della storia è di per sé affascinante e tale deve restare nell’insegnamento, svincolato da qualsiasi nozionismo così come da un inutile ricorso a “grandi temi”, disancorati dall’effettiva conoscenza degli eventi. Non è pertanto necessario che i discenti imparino tutto ciò che di più o meno notevole è avvenuto in ciascuna epoca, bensì che apprendano quanto è stato davvero determinante, in primo luogo nella vicenda storica italiana.”
Un altro elemento che colpisce nel raffronto con le precedenti Indicazioni è, nell’introduzione di impianto teorico, il passaggio nel titolo da “Cultura, scuola, persona” con un focus sulla complessità e la pluralità del “paesaggio educativo”, a “Persona, scuola, famiglia” che, rifacendosi strumentalmente alla Costituzione, “concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato” e che rivendica con nettezza anche qui come “il termine ‘persona’ ha radici storico-culturali occidentali”.
Ben consapevoli che spesso nei dettagli si celano significati importanti da sottolineare la come nella nota che esplicita le scelte linguistiche, certo già fortemente traballanti in una prospettiva inclusiva, scompaia ogni riferimento al genere.
- Nel testo si troveranno sempre termini quali: «bambini, adolescenti, alunni, allievi, studenti…». Si sollecita il lettore a considerare tale scelta semplicemente una semplificazione di scrittura, mentre nell’azione educativa bisognerà considerare la persona nella sua peculiarità e specificità, anche di genere. (Indicazioni 2012)
- Nel testo si troveranno vari termini: bambini, allievi, studenti, adolescenti. Si invita il lettore a considerare tale scelta come una semplificazione di scrittura, come già nelle vigenti Indicazioni, mentre nell’azione educativa la persona viene assunta in tutta la sua complessità e specificazione. (Nuove indicazioni 2025)
È evidente la non uniformità dei gruppi di lavoro e il persistere, nella parte relativa alla scuola dell’infanzia di una maggiore apertura e consapevolezza pedagogica, nel riferimento al sistema integrato 0/6 ma anche nell’attenzione a declinare sempre bambin* (quantomeno) al femminile e al maschile.
Rispetto all’educazione al genere e alle differenze (che compare solo una volta come educazione alle differenze di genere) e all’educazione sessuo-affettiva (mai esplicitamente nominata) emergono nel generale silenzio e nel grande peso riconosciuto già in apertura al patto di corresponsabilità con le famiglie, posizioni deboli, scivolose e pericolose in cui si legge tutto l’impianto ideologico reazionario, le interferenze cattoliche, l’istituzionalizzazione della cis-eteronormatività e dell’amore romantico e la negazione del carattere strutturale e culturale della violenza di genere.
“Questo tipo di educazione è qualcosa di più dell’alfabetizzazione emozionale: allena bambine e bambini a ‘capirsi’ nella complementarità delle rispettive differenze e sviluppa sani anticorpi di contrasto di quella triste patologia che è la violenza di genere. È necessario un profondo lavoro educativo da iniziare a scuola: un’educazione del cuore che crei occasioni didattiche di esperienza di sentimenti basilari come la fiducia, l’empatia, la tenerezza, l’incanto, la gentilezza.”
“occorre promuovere fra gli studenti il senso profondo della bona fides, che anticamente costituiva il parametro per valutare la lealtà e l’onestà delle relazioni. E questo è anche il tempo in cui il diritto ad autodeterminarsi come donne, conquista del Novecento, possa finalmente giovarsi dell’impegno istituzionale alla costruzione di un nuovo patto fra i sessi da far fiorire con matura consapevolezza nelle aule delle scuole e, possibilmente, entro gli anni del primo ciclo di istruzione. La scuola è il contesto più adeguato per decostruire stereotipi e far capire che il sentimento dell’amore con/per l’altro da sé (inteso come prossimo nella sua lata accezione) è al centro della propria felicità.”
La parola ‘coplementarietà’ riporta a un’essenzializzazione della differenza nei termini di categorie binarie e opposte, promuovendo di nuovo quella che Adrienne Rich chiamava “eterosessualità obbligatoria” e perpetuando quella assolutizzazione del binarismo che sta alla base della violenza maschile contro le donne, della violenza omolesbobitransfobica, della cis-eteronormatività, come è già stato detto. Il tono moraleggiante e melenso con cui si fa riferimento alle relazioni mostra una totale ignoranza sulla strutturalità e sulle radici culturali delle violenze di genere, che non si possono pensare di affrontare a scuola senza mettere a tema un’educazione sessuo-affettiva e una cultura del consenso.
Anche sui bullismi e una svuotata educazione al rispetto, oltre alle improbabili farneticazioni linguistiche, emerge una lettura classista e colpevolizzante che sposta ancora una volta il peso delle scelte educative sulle famiglie.
“Peraltro interiorizzare il senso del limite aiuta a evitare la deriva della hybris, della tracotanza, spesso diffusa in bambini e adolescenti figli di famiglie con gravi povertà educative, messi al centro di dinamiche affettive iper/ipoprotettive che li rendono ‘piccoli tiranni’ o, all’inverso, fragili prede di dinamismi bullistici. Il rispetto è, dunque, un valore civile fondamentale che si apprende in famiglia e si consolida a scuola, nell’esercizio quotidiano dell’incontro con l’universo degli adulti e dei pari.”
Ancora molto c’è da fare per leggere e decostruire frase per frase, parola per parola, un documento autoritario e privo di connessioni con il mondo della scuola pubblica, la sua ricchezza, la sua complessità, le sue contraddizioni. Garantire la libertà di insegnamento e l’autonomia nella progettazione e nell’attuazione delle proposte educative sarà da oggi ancora più difficile, mentre la parte più reazionaria e violenta della società troverà in queste Indicazioni un’arma istituzionale.
È necessaria una presa di parola forte e immediata, e una battaglia comune senza sconti dentro e fuori la scuola e le università.
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È difficile anche solo decidere da dove iniziare per analizzare criticamente le Nuove indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione da poco pubblicate sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito come materiali per un presunto dibattito pubblico con il coordinamento di Loredana Perla e di Francesco Emmanuele Magni, e che […]
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