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Rom e sinti: basta segregazione. #idee per una repubblica romana

Da Team Scosse
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rom e sintiEra nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del 2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica violazione dei diritti umani e dell’infanzia.

Kher in romani chib – esattamente come il suo equivalente italiano casa – è una parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a Napoli.

“Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra”, racconta un rom nella rivista curata dall’Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l’abitare è sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione dei tuoi riti e della tua libertà.

In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente “nomade”. A Roma le comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze “facili” da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e tagli al welfare e ai servizi essenziali.

Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all’interno di una dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da un’ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.

Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo: risolvere le “emergenze”, mettere in “sicurezza” i quartieri abitati da italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più lontani dal contesto urbano.

L’approccio emergenziale, l’isolamento dei rom che dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell’attenzione cittadina, ci fa girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le dichiarazioni degli amministratori.

I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un’invenzione tutta italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano una forma dell’abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti. I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via Salone, uno dei più grandi d’Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.

L’ultimo Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha l’obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom. Il Piano Nomadi dell’attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro l’anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l’isolamento dal resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e per l’aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall’estate del 2009 ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal Comune di Roma per l’inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.

Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l’occasione di voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette all’inclusione sociale di rom e sinti:
perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide; per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati; per abbandonare l’approccio emergenziale e securitario; per proporre una cultura che superi i pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse; per sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le Convenzioni internazionali.

Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la tua kher.

Pubblicato il 23/01/20013 su http://goo.gl/EgvOI

Pubblicato in Approfondimento | Contrassegnato ,
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