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La lotta femminista oltre il politicamente corretto

Da Team Scosse
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Leggiamo sempre con molto interesse gli articoli di Anna Garralón sul suo blog anatarambana.blogspot.com.
Anatarambana è un blog molto seguito, interessante e intelligente, che coglie gli spunti più variegati dati dalla letteratura per l’infanzia per parlare degli argomenti più diversi.
Se però, per fare una critica al politicamente corretto e alla censura, si parte da ciò che è accaduto alla Escola Tàber di Barcellona, lo spunto ci sembra un po’ azzardato… Rispondiamo al suo articolo (tradotto in italiano sul sito di Topipittori) con alcune nostre riflessioni senza entrare nel merito del fatto che il “politicamente corretto” (altrimenti detto un colpo al cerchio e uno alla botte) è ben altra cosa rispetto alle rivendicazioni di minoranze che lottano contro lo stigma e per i diritti minimi necessari per vivere dignitosamente, così come è ben altro dalle lotte femministe e antifasciste. E anche senza voler ribattere alle sue riflessioni sul politically correct (già espresse circa un anno fa sempre in rapporto alla prospettiva di genere nella letteratura per l’infanzia ) e agli esempi molto variegati, diciamolo, che ha scelto per sostenere la sua tesi. Quello che ci sorge è però un dubbio, da femministe quali siamo e che hanno fatto della letteratura per l’infanzia lo strumento principale di mediazione nell’educazione alle differenze. Anzi ce ne sorgono tre.

I tre ragionevoli dubbi sulle tesi di Anna Garralón

  1. Il primo è una domanda: ci chiediamo perché un quotidiano come El Pais, che è stato il primo a parlare dell’episodio, si occupi con così tanta veemenza della riorganizzazione di una biblioteca scolastica, che casualmente è in Catalunya e nell’unico quartiere di Barcellona in cui Ciutadans e il Partito Popular hanno preso dei voti alle scorse elezioni politiche. Le politiche scolastiche del governo Rajoy (di cui Sánchez non ha modificato una virgola) sono state così devastanti che un gruppo di mamme che si riunisce e riorganizza i libri della scuola delle proprie figlie e dei propri figli non dovrebbe essere il tema di una campagna così accanita di diffamazione.
  2. Il secondo dubbio gira intorno alla narrazione dell’accaduto. La versione dell’episodio che ha fornito l’AFA (associazione delle famiglie, questo sì più corretto di Ampa, che prevedeva famiglie formate esclusivamente da padri e madri!) dell’Escola Tàber, ma che non è mai stata riportata in questo senso, è che la riorganizzazione della biblioteca in prospettiva di genere non ha prodotto una censura ma la creazione di categorie di catalogazione diverse. Questo ha fatto sì che alcuni libri, tra cui le fiabe classiche, fossero spostati su fasce di età più alte, 6/8 invece che 3/5, perché si considerava che bambine e bambini di 6 anni avessero più strumenti critici per individuare gli stereotipi di genere rispetto a quell@ di 3, età in cui ogni informazione viene assimilata e normalizzata se non c’è un’adeguata mediazione. Scelta sicuramente discutibile ma che non equivale a togliere libri da una biblioteca, operazione che in altre occasioni e da altri soggetti è stata si portata avanti. Ora, nessuno si è chiesto se questo gruppo di famiglie, avesse competenze di letteratura, studi di genere, catalogazione. Nessuno ha nemmeno riflettuto sul procedimento in sé, se tecnicamente o concettualmente sia giusto o sbagliato creare categorie come le fasce di età dentro a una biblioteca scolastica. I contenuti e le modalità di questa operazione sono scomparsi immediatamente lasciando spazio ad appassionate critiche su come alcune mamme, femministe invasate di principi di genere, abbiano censurato i libri, come se leggere il mondo in prospettiva di genere rispecchiasse un’ideologia talebana e censoria tanto quanto quella nazista o quella integralista cattolica.
  3. E qui nasce il nostro terzo dubbio: se una notizia come questa arriva a El Pais con tanta dovizia di particolari sulla cosiddetta “ideologia gender”, non potrebbe trattarsi di un’operazione molto più intelligente di quella fatta, ad esempio, dal sindaco di Venezia? Non potrebbe essere un modo per non censurare o bandire direttamente libri che decostruiscono gli stereotipi, ma fare esattamente l’operazione inversa? Puntare i riflettori su quanto male facciano i movimenti femministi con tutte le loro derivazioni e su quanto siano “feminazi” quelle che si occupano di educazione di genere, attiva una macchina del fango sulla possibilità di assumere prospettive di genere dentro alle scuole, che va da sola e non fa sporcare le mani di nessuno… Restiamo con questo dubbio senza dimenticarci che a Barcellona il 26 maggio si vota anche per il comune e che la campagna elettorale si può fare in tanti modi diversi.
    Condividiamo queste riflessioni ribadendo per chi si sentisse confus@ in tal senso che siamo, siamo sempre state e sempre saremo contro ogni censura e lo siamo in quanto femministe.
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